Da vedere tra Como e Cantù
Approfondimento:

COMO
Come la maggior parte dei centri dell’Italia Settentrionale, la città di Como conobbe le prime forme di insediamento umano fra il VI e il V secolo a. C., quando si stanziarono sul territorio alcune tribù celtiche. Nel 196 a. C. Marco Claudio Marcello fondò il castrum di Comum Oppidum, dando inizio alla sistematica colonizzazione e centuriazione dei territori circostanti. In età imperiale e tardo imperiale Como assunse così la configurazione urbana tanto riconoscibile nei centri romani, con assetto viario ortogonale imperniato attorno ai principali edifici della piazza del foro: il teatro, la basilica e le terme. Durante gli ultimi secoli dell’impero, a testimonianza dell’avvenuta conversione delle popolazioni locali, sorsero le prime basiliche paleocristiane, sulle cui fondamenta, in età medievale, fiorirono maestose cattedrali romaniche.

Basilica di San Fedele
Esemplificativa di questa continuità architettonica e spirituale fra cristianesimo delle origini e devozione medievale, è la Basilica di San Fedele martire, innalzata sul posto di una chiesa risalente al VII secolo e intitolata a Santa Eufemia. L’impianto ecclesiale a croce latina, tipicamente romanico, è a tre navate e, alle estremità dei bracci del transetto, presenta ampie absidi percorse da ambulacri. Il coro, poi, ispirato alla Cappella Palatina di Aquisgrana, si adorna di una singolare decorazione plastica, che intreccia motivi fitomorfici a figure umane, mostri e grifoni. Suggestiva testimonianza della scultura romanica comasca sono poi i rilievi che fiancheggiano il duecentesco portale cuspidato. Nel 1905 il vecchio campanile fu innalzato di alcuni metri, mentre pochi anni dopo fu la volta della facciata, ripensata da Antonio Giussani in stile neoromanico. A pochi passi da piazza San Fedele prospetta invece l’ex chiesa di San Pietro in Atrio, di impianto centrale con tiburio cinquecentesco, ma derivata da una più antica chiesetta (IX-X secolo), come attestano alcuni ritrovamenti archeologici e gli affreschi emersi alle pareti absidali. Alla chiesa era connesso il Battistero di San Giovanni in Atrio, edificio di origini paleocristiane ricostruito nel XII secolo su pianta ottagonale e internamente movimentato dall’alternanza fra nicchie semicircolari e rettangolari; dotato nel corso del ‘500 di cupola (la si vede ancora dal cortiletto), alla fine del ‘700 il battistero, così come la chiesa di San Pietro, fu sconsacrato e cadde in disuso.

Il Duomo
Gli edifici sacri sin qui considerati sono prove eccellenti dell’abilità con cui le maestranze comacine, alla luce delle coeve esperienze d’Oltralpe, seppero interpretare l’architettura romanica in un senso più propriamente decorativo. Da queste esperienze muove la fabbricazione della maestosa Cattedrale di Santa Maria Assunta che, seconda solo al Duomo di Milano, rappresenta uno dei più importanti episodi di gotico lombardo. La costruzione dell’imponente chiesa, cominciata nel 1396 su progetto di Lorenzo degli Spazzi, si protrasse per oltre trecento anni, concludendosi solo nel 1770 con l’elevazione della cupola disegnata da Filippo Juvarra: dalle sponde del lago se ne cattura una splendida veduta. All’avvio dei lavori l’edificio si trovava a convivere con le strutture della Basilica romanica di Santa Maria Maggiore, definitivamente demolita nel XV secolo per consentire alla chiesa che stava sorgendo di occupare una più ampia area. Ne risultò il capolavoro di cui si diceva. Il prospetto, messo a punto tra 1447 e 1498, ha profilo a salienti ed è tripartito da lesene culminanti in pinnacoli riccamente scolpiti. Gettando un’occhiata all’ampia superficie lapidea si coglie l’effetto d’insieme del complesso apparato scultoreo, animato da figure di angeli, santi e vescovi che si affacciano dalle nicchie delle lesene, dalle lunette sovrastanti i tre portali e dalle edicole disposte attorno all’elaborato traforo del rosone, sopra al quale si riconosce il gruppo plastico della Trinità. Ponendo quindi attenzione alla porzione mediana del prospetto, si scopre che ai lati dell’ingresso principale, al posto delle frequenti raffigurazioni di santi, campeggiano le effigi di Plinio il Vecchio e Plinio il Giovane, celebri naturalisti romani, fondatori proprio a Como di uno dei primi musei di storia naturale. Una volta compresa l’articolazione dell’insieme sarà bene avvicinarsi, per gustare la finezza di ogni singolo motivo ornamentale, dalla realizzazione delle lunette sopra i portali al trattamento decorativo delle esili colonne tortili, che si alternano in profondità a formare la strombatura; l’occhio più attento e allenato potrà poi riconoscere, tra le figure scolpite, quelle ancora vincolate nei legami del gotico e quelle invece che già, animate di fervore rinascimentale, paiono volersi affrancare dalla pietra per guadagnare il tutto tondo. D’altra parte, la dialettica fra gotico e rinascimento si estende all’intera composizione architettonica. Se infatti i riferimenti che ispirano la facciata sono di derivazione tardo medievale, l’assetto dell’area absidale e dei fianchi della chiesa mostra caratteri più propriamente cinquecenteschi. Aggirando l’edificio, per coglierne appunto i diversi scorci, si incontrerà poi la porta della rana, che prende il nome dalla simpatica statua dell’animale, oggi purtroppo parzialmente distrutta. Tornati sul fronte principale, accediamo dunque alla solenne spazialità interna, ripartita in tre navate da pilastri cruciformi con archi ogivali e volte a crociera; all’innesto del corpo principale con il transetto si apre uno spazio tri-absidato coronato da tiburio: il gioco di bagliori e riflessi che si riverbera dal rosone alle vetrate istoriate, e da queste alle monofore del tiburio, avvolge arredi sacri, statue e pitture di notevole rilievo. Ricordiamo gli arazzi tessuti su cartoni del milanese Giuseppe Arcimboldi, l’Adorazione dei Magi del Luini, lo Sposalizio della Vergine di Gaudenzio Ferrari e, del Morazzone, lo stendardo di Sant’Abbondio e l’Incoronazione della Vergine; fra i migliori pezzi di scultura si annoverano poi il complesso settecentesco dell’altare maggiore, le marmoree statue dei Rodari, tra cui il gruppo della Deposizione e il Polittico dell’altare di Santa Lucia, e i monumenti lignei quattro e cinquecenteschi, fra i quali si emerge il Polittico dell’altare di Sant’Abbondio, opera mirabile di fattura nordica. A questo capolavori si aggiungono due monumentali organi seicenteschi, gli stucchi di foggia barocca e le acquasantiere, sorrette dai leoni stilofori provenienti dall’antica chiesa di Santa Maria Maggiore. Stretto fra la fabbrica del duomo e la torre civica è poi il Palazzo del Broletto, edificato nel 1215 per volere del podestà Bonardo da Codazzo e rimaneggiato in forme tardogotiche nel 1477. In seguito a successivi ripensamenti, la facciata marmorea del Broletto fu portata in linea con il chiaro prospetto della cattedrale, sicché l’ordinata sequenza dei portici comunali appare in perfetta armonia con i tre ingressi a tutto sesto della chiesa.

Basilica di Sant'Abbondio
Prima di abbandonare la città merita una visita attenta la Basilica di Sant’Abbondio, che si imposta sulle fondamenta del tempio paleocristiano che il vescovo Amanzio aveva fatto costruire nel V secolo d. C per custodire le reliquie dei Santi Pietro e Paolo. Fra il 1050 ed il 1095, la chiesa fu affidata ai monaci benedettini, che la riedificarono in stile romanico affiancandole il monastero (attualmente adibito a sede universitaria). L’imponente struttura è costituita da cinque slanciate navate, fra le quali si celano antichi bassorilievi e affreschi trecenteschi; la verticalità dell’insieme è sottolineata dai due campanili gemelli che si levano dalla zona absidale, soluzione piuttosto inusitata in area italiana ma molto comune al di là delle Alpi.

CANTÙ
Un tempo ascrivibile alla tipologia del borgo fortificato medievale, l’assetto urbano della cittadina di Cantù rispecchia oggi le profonde trasformazioni impresse dallo sviluppo economico avviato sin dall’800. Del sistema difensivo, eretto a partire dal 1324 dalla famiglia Grassi, restano tratti di grosse mura, un tempo scandite da 35 torrette, e la bella Porta degli Archinzi, detta Ferraia. Cuore civile di Cantù è la centralissima piazza Garibaldi, sulla quale prospetta la Basilica Prepositurale di San Paolo, risalente all’XI secolo ma ricostruita quasi per intero nel 1579, su disposizione di Carlo Borromeo. Le principali modifiche hanno riguardato il portico a colonne binate che in origine contornava l’intera chiesa, al posto del quale figurano invece il pronao e la Cappella del Crocefisso. Sul fianco destro della chiesa si trova la residenza dei Pietrasanta, feudatari di Cantù per ben tre secoli (dalla fine del ‘400 allo scorcio del ‘700), mentre sulla sinistra della facciata si leva l’altissimo campanile terminante in cuspide conica, costruito contemporaneamente alla chiesa e concluso a fine ‘500. Poco discosta è la Cappella della Madonnina, all’interno della quale sono stati rinvenuti affreschi cinquecenteschi, firmati da Ambrogio da Vigevano e Cristoforo de’ Motti, e reperti archeologici dei primi secoli del Cristianesimo. L’ampio piazzale è inoltre fulcro di un sistema viario disposto a raggiera: seguendone le singole direttrici andremo allora alla scoperta di altri importanti monumenti cittadini. Partiamo da via Manzoni, che accompagna in pochi passi al complesso di Santa Maria, formato dagli spazi dell’antichissimo monastero cluniacense – istituito nel lontano 1093 da Adalberto di Cluny – e dalla chiesa a pianta centrale, edificata da Girolamo Quadrio a partire dal 1665. Sempre da piazza Garibaldi seguiamo ora via Ariberto e viale della Madonna, per raggiungere il cinquecentesco Santuario della Madonna dei Miracoli, internamente ornato da stucchi barocchi e opere pittoriche seicentesche. Tornati alla Basilica di San Paolo, e imboccata a destra via Corbetta, concluderemo la visita presso uno dei monumenti simbolo della città, la chiesa di San Teodoro, annoverata fra le più significative prove di architettura romanico lombarda. La basilica si data all’XI secolo, ma numerosi interventi intercorsi fra ‘600 e ‘700 ne hanno in parte snaturato la struttura primitiva. Di antico restano l’impianto basilicale, maestosamente suddiviso in tre navate da pilastri quadrangolari, e l’abside centrale: il campanile e le absidi laterali sono invece frutto di ricostruzioni otto e novecentesche.

La basilica di San Vincenzo e il battistero di San Giovanni Battista a Galliano
Dalla cima di un’altura, la Basilica di San Vincenzo e il Battistero di San Giovanni Battista vigilano il panorama circostante la cittadina di Cantù. I due monumenti sacri, di origini paleocristiane ma documentati con certezza solo dall’XI secolo, formano il complesso di Galliano, manifestazione precocissima in Lombardia dell’allora nascente architettura romanica. Realizzata con possente muratura in ciottoli di pietra, la chiesa è di struttura assai semplice: la facciata dal profilo a salienti, l’esiguo portale e le finestrelle concorrono a plasmarne l’aspetto ascetico. Nella parte posteriore, la superficie muraria delle absidi ripropone lo stesso gusto severo tanto che il consueto motivo ornamentale delle arcatelle cieche è qui risolto in termini costruttivi, non puramente estetici. L’aula interna è dominata dall’alto presbiterio, sotto al quale si apre il vano della cripta, ambiente suggestivo coperto da volta a crociera. Gli affreschi che si svolgono alle pareti sono da ritenersi, nell’alta Italia, fra le più significative testimonianze pittoriche d’età altomedievale. Figure di angeli santi e devoti si susseguono l’un l’altra, culminando nella rappresentazione del Cristo in mandorla che campeggia nel catino absidale; al di sotto della sacra visione sono raffigurato i più importanti episodi della vita di San Vincenzo: l’incontro con l’Imperatore Daciano di Saragozza, il martirio e la leggendaria sepoltura. Il personaggio raffigurato nell’atto di porgere al cielo il modelletto della chiesa è invece Ariberto da Intimiano, colui che nel 1007 aveva consacrato il luogo di culto.
Sul fianco destro della basilica si stacca la mole sinuosa del Battistero di San Giovanni, costituito da un vano quadrato che si articola in quattro nicchie semicircolari, una per ogni lato; l’ingresso al sacello avviene da un corpo aggettante con volta a crociera, dal quale si accede a un secondo locale, sorta di anticamera, a sua volta collegato a una delle quattro cappelle. Da qui si dipartono due scalinate che consentono di raggiungere le gallerie dei matronei. La copertura del tempietto è risolta con un tiburio di forma ottagonale nel quale si aprono finestrelle bifore. Il portichetto che in antico fungeva da raccordo fra chiesa e battistero andò distrutto nel XIX secolo nell’incendio che causò anche la perdita della navata basilicale sinistra.